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Baruffe Chiozzotte - Carlo Goldoni

Prima di darvi il mio ‘’consiglio di lettura’’, ritengo necessario fare una breve ma ‘’tecnica’’ premessa, indispensabile per comprendere e apprezzare l’opera oggetto del mio invito. Nella seconda metà del Settecento il panorama teatrale italiano era dominato dalla Commedia dell’Arte: gli attori impersonavano maschere tradizionali, corrispondenti a tipi fissi nonché al le ma schere del nostro Car ne vale, improvvisando le battute sulla base di un canovaccio che dava indicazioni sommarie dell’intreccio della vicenda. Nei confronti di questa forma teatrale, divenuta ripetitiva e volgare, il commediografo veneziano Carlo Goldoni assunse un atteggiamento polemico. Nella sua riforma della commedia Goldoni non si rifece tuttavia a modelli astratti e libreschi, com’era tipico invece del classicismo settecentesco, ma egli intese proporre opere che incontrassero il favore del pubblico e che riproducessero in modo verosimile la società contemporanea. I tipi fissi e le maschere tradizionali della Commedia dell’Arte vennero perciò sostituiti da caratteri individuali, con la complessità psicologica delle persone e posti in relazione ad un preciso ambiente sociale. Gli intrecci si fecero più lineari, coerenti e verosimili, rispecchiando la realtà concreta quotidiana. Gli attori vennero chiamati a memorizzare e a recitare sulla scena le battute del testo scritto dall’autore, il quale alla comicità volgare e buffonesca preferì toni più composti.

Tali cambiamenti trovarono inizialmente resistenza sia da parte degli attori, i quali erano ancora legati alla tecnica dell’improvvisazione, sia da parte del pubblico, abituato a un tipo diverso di spettacolo e di comicità. Per queste ragioni Goldoni attuò la sua riforma gradualmente: iniziò con la stesura delle battute del protagonista, dopo alcuni anni si dedicò a scrivere quelle di tutti gli altri personaggi e conservò a lungo le maschere della Commedia dell’Arte, trasformandole da tipi fissi in caratteri, solo successivamente eliminandole completamente. La commedia intitolata Le baruffe chiozzotte, scritta da Goldoni nel 1762, venne composta dal commediografo durante un periodo di aspra critica nei confronti della sua produzione, in particolare a causa del poco spazio concesso ai personaggi appartenenti al ceto aristocratico. L’atteggiamento di Goldoni all’interno della commedia è generalmente imparziale; non sembra infatti favorire alcuno dei personaggi, ponendosi in un ruolo super partes, e, poiché si tratta di una scena teatrale piuttosto dinamica, il lettore e lo spettatore sono talmente coinvolti nell’azione che, forse, potrebbero non cogliere le riflessioni dell’autore. Tuttavia, Goldoni nella quasi totalità della sua produzione ha identificato la classe borghese come protagonista, le cui virtù sono l’operosità e l’ambizione, in armonia con il bene pubblico. Egli, infatti, all’interno dei suoi testi teatrali prende le parti della classe borghese celebrandone i valori, come l’unità familiare, ma denunciandone la decadenza e portando quindi alla luce il fatto che essa tenda alla vacuità e all’ostentazione sociale.

Nella commedia Le baruffe chiozzotte, Goldoni riesce a caratterizzare in modo particolarmente efficace la psicologia dei personaggi. Lo fa anche servendosi del dialetto e di vocaboli specifici di alcuni ambienti come quello marinaresco (i protagonisti sono proprio un gruppo di pescatori, le loro conversazioni e le loro schermaglie amorose). Il dialetto che egli porta sulla scena è una lingua socialmente unitaria, senza rigide stratificazioni, diffusa fra il popolo così come fra la classe dirigente. Essendo una lingua non codificata né dal punto di vista grammaticale né da quello letterario, il veneziano è l’unico fra i dialetti italiani capace di servire ai diversi usi: sociali, politici, burocratici, scientifici e filosofici. Goldoni dunque crea una lingua partendo dal suo dialetto natio e la combina con elementi linguistici tipici del toscano e dei dialetti settentrionale, proponendo sulla scena una lingua perfettamente credibile. In questo modo, qualsiasi spettatore aveva l’impressione di star ascoltando una parlata che in qualche modo gli apparteneva, seppur non direttamente, poiché l’idioma che propone Goldoni non è una lingua parlata realmente, ma costruita interamente per essere convincente sia sulla scena che sulla pagina. Un esempio della lingua e del dialetto colorito che utilizza l’autore all’interno della commedia lo si può trovare nella scena seconda. I protagonisti sono Toffolo, un giovane battellaio di ritorno dal lavoro il quale tenta di dare una buona impressione al gruppetto di donne riunitosi vicino al porto, Checca, una giovane ragazza che cerca di screditare Lucietta davanti agli occhi di Toffolo, e Lucietta, anche lei parte del gruppetto di donne e colei che riceve attenzioni da Toffolo, nonostante sia già promessa sposa.


CHECCA Dèmene anca a mi un bezze.

TOFFOLO So qua mi; ve la pagherò mi.

CHECCA Sior no, no voggio.

TOFFOLO Mo per cossa?

CHECCA Perché no me degno.

TOFFOLO S’ha degnà Lucietta.

CHECCA Sì, sì, Lucietta xè degnevole, la se degna de

tutto.

LUCIETTA Coss’è, siora? Ve ne aveu per mal, perché so

stada la prima mi?

CHECCA Mi co vu, siora, no me n’impazzo. E mi no

togo gnente da nissun.

LUCIETTA E mi cossa tóghio?

CHECCA Siora sì, avè tolto anca i trìgoli20 dal putto

donzelo de bara Losco.

LUCIETTA Mi, busiara?


Barbuio Laura 5D LCE

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