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Don Milani

La lettera ai cappellani militari e l’obiezione di coscienza.

11 febbraio 1965

I cappellani militari in congedo in Toscana sottoscrivono un comunicato in cui "considerano un insulto alla patria e ai suoi caduti l'obiezione di coscienza che, estranea al comandamento dell'amore, è espressione di viltà". 


6 marzo 1965

Il settimanale La Rinascita pubblica la risposta di Don Lorenzo Milani ai cappellani militari della Toscana con una lettera che sarà oggetto di denuncia alla magistratura Fiorentina da parte di un gruppo di ex combattenti. L'accusa è di incitamento alla diserzione, vilipendio alle forze armate e apologia di reato. Il processo ha inizio il 30 ottobre 1965: oltre a Don Milani viene rinviato a giudizio anche Luca Pavolini, direttore del giornale La Rinascita per avere pubblicato la lettera di Don Milani. Il parroco è gravemente ammalato e non riesce a partecipare al processo, ma in una “lettera ai giudici”, ribadisce la sua posizione. Egli è maestro e sacerdote. Come maestro crede nella buona scuola.

In seguito all' articolo dei cappellani militari, con i suoi alunni, ripercorre 100 anni di guerre sfogliando i libri di storia per cercare una "guerra giusta” cioè in regola con l'articolo 11 della Costituzione approvato all'unanimità l’11 dicembre 1947 dall' Assemblea Costituente. Don Milani invitava gli insegnanti a dar posto nella scuola alla Carta Costituzionale al fine di rendere consapevole la nuova generazione delle raggiunte conquiste sociali e morali, una di queste conquiste morali e sociali era proprio l'articolo 11 che recita così: "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli ".  L'obbedienza militare assoluta viola questo articolo ma la scuola aveva fino ad allora inculcato agli studenti che le guerre erano per la Patria, che bisognava morire per la Patria. Don Milani come maestro non poteva dire ai suoi giovani ragazzi che l'unico modo per amare la legge fosse l'obbedienza in quanto obbedire ad un ordine poteva voler dire uccidere un bambino, sua madre, la sua famiglia. 

Don Milani era anche sacerdote. La chiesa non aveva mai ammesso che fosse lecito, in guerra, uccidere civili a meno che non fosse incidentale, cioè nel tentativo di colpire un obiettivo militare. Negli anni, dalla prima guerra mondiale, la percentuale dei civili uccisi era andata via via salendo e le armi che in quegli anni ‘60 si utilizzavano miravano direttamente ai civili, forse si salvavano solo i militari. Nella sua difesa Don Milani dice che " Nessun teologo ammette che un soldato possa mirare direttamente ai civili dunque in casi del genere il Cristiano deve obiettare anche a costo della vita. Io aggiungerei che mi pare coerente dire che a una guerra simile il Cristiano non potrà partecipare nemmeno come Cuciniere" (“Lettera ai giudici”). La guerra difensiva non esiste più, non esiste più una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione. Don Milani scrive che anche se andrà in prigione continuerà ad insegnare ai suoi ragazzi quello che aveva insegnato fino a quel momento, cioè che "se un ufficiale darà loro ordini da paranoico, loro hanno il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura" (“Lettera ai giudici” Don Milani). Il processo termina con l'assoluzione di Don Milani e di Luca Pavolini, perché il fatto non costituisce reato. I giudici nella sentenza sottolineano il vuoto legislativo sull'obiezione. L'accusa però, ricorre in appello e 2 anni dopo il verdetto verrà ribaltato: 5 mesi a Pavolini, per Don Milani, deceduto il 26 giugno 1967, prima della sentenza, il “reato è estinto per morte del reo“. L'insegnamento di Don Milani non è un generico invito alla ribellione ma un invito a scavare nelle coscienze, a costruire insieme, a lavorare per" una società in cui la forza si misura dalla capacità di accogliere e includere i più fragili così come la tenuta di un ponte si misura dalla solidità" (Don Luigi Ciotti). Solo in questo modo si potrà dire che il progresso morale dell'umanità non sarà oscurato dal Progresso tecnico.

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