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Immagine del redattoreGiornalino Uccellis

I fratelli Gracchi:

riformisti, rivoluzionari o demagoghi?

La storia è un po’ come la Luna: guardando la sua faccia luminosa e brillante, tendiamo a dimenticare che ne ha un’altra, e la bravura di un attento lettore o studioso sta nel riconoscere anche quest’ultima e tenere conto di entrambe. Tra il III e il II secolo a.C. Roma ottenne vittorie in diversi conflitti, su tutti le guerre puniche per il controllo del Mediterraneo e le guerre per la conquista della Grecia. La sua fama era aumentata smisuratamente e si era arricchito ancora di più chi già lo era molto, mentre la plebe era ridotta alla fame. Tra le conseguenze peggiori vi è la profonda crisi sociale in cui era precipitata la repubblica, difatti il possesso dell’ager publicus , ovvero dei vasti appezzamenti di terreno coltivabili, era conteso tra due classi sociali: la nobilitas e una nuova classe emergente di ricchi, gli equites. I piccoli proprietari terrieri, il nerbo dell’esercito della Repubblica, non possono sostenere la concorrenza ed in gran numero vanno in città a cercare di sopravvivere di espedienti: nasce così il proletariato urbano. Le campagne italiane si spopolano, nei grandi latifondi lavorano solo gli schiavi. Due uomini, due fratelli per la precisione, sembra che si fossero presi a cuore la questione, avevano capito che per poter uscire da quella situazione era necessaria una figura dotata di personalità e leadership che di fatto prendesse in mano le redini della città, affrontando a viso aperto l’aristocrazia, sapendo che se nessuno avesse fatto qualcosa il vecchio mondo sarebbe crollato per l’avarizia della nobilitas.

I nostri due uomini sono i Fratelli Gracchi: Tiberio e Gaio. Tiberio prima e Gaio poi, avevano trovato una possibile soluzione per ovviare al problema: imporre una massima quantità di terreno che si poteva possedere, fissata a 500 iugeri, con un ulteriore aumento di 250 per ogni figlio maschio, fino ad un massimo di 1000, così da poter ridistribuire il resto delle terre ai poveri; la cosiddetta riforma agraria. A questa riforma il tribuno della plebe Marco Ottavio pose il veto due volte, prima di essere fatto destituire da Tiberio, con l’accusa di andare contro gli interessi della repubblica. Tiberio cercò quindi l’appoggio del popolo per l’approvazione di questa riforma, ottenendo il suo pieno appoggio. L’idea proposta da Tiberio nel 133 a.C. non piacque all’aristocrazia, che non voleva perdere le sue ricchezze, questa lo accusò di un tentativo di tirannide e lo fece uccidere un anno dopo. I suoi progetti vengono ripresi dal fratello Gaio, che per realizzarli si appoggia alla sempre più importante classe equestre. Anche lui, però, finisce per essere attaccato dall'avidità aristocratica, che lo costringe a farsi uccidere dal suo schiavo nel 123 a.C. Di fatto i Gracchi sono dei riformisti, poiché il loro intento non era quello di abolire il sistema schiavista o stravolgere il sistema politico, ma anzi di rafforzare la repubblica che si stava sgretolando e di riportare in campagna i plebei per costituire nuovamente una classe di contadini-soldati; ma per le loro azioni vengono definiti rivoluzionari, non tanto per ciò che avevano fatto, ma per come e con quali mezzi avevano cercato di ottenerlo. Qui le opinioni si dividono in due correnti di pensiero: i conservatori come Cicerone, che sostengono che uscire dai limiti della costituzione romana, cercando di catturare la benevolenza del popolo per andar contro l’aristocrazia, fosse assolutamente sbagliato, li accusano di essere dei demagoghi che approfittano dell’ingenuità e della povertà della plebe per ottenere dei benefici personali; e chi invece, fino ai tempi recenti ed ai pensatori socialisti, pensa che i Gracchi siano stati degli eroici modelli di capi rivoluzionari. Lo storico marxista russo Kovaliov, in “La Storia di Roma”, 1948, probabilmente trova un punto di incontro comune tra i due modi di essere “rivoluzionari” attribuiti ai Gracchi, quando scrive: - Naturalmente essi non furono rivoluzionari nello stretto senso della parola, poiché non avevano intenzione di distruggere il regime schiavistico e di sostituirlo con un qualsiasi altro sistema sociale diverso: al contrario, lo scopo delle loro riforme, in ultima analisi, era proprio quello di rafforzare il regime schiavistico. Ma muovendo contro l’esistente sistema oligarchico in nome della democrazia e uscendo, durante la loro attività politica, dai limiti costituzionali, essi, indipendentemente dalle loro intenzioni soggettive, agirono come rivoluzionari -. Probabilmente non possiamo affermare con certezza se i Gracchi sono stati "rivoluzionari buoni ed esemplari” oppure “rivoluzionari cattivi e demagoghi”, ma quello che possiamo fare è credere alla “buona fede” dei Gracchi e ritenerli genuinamente preoccupati delle condizioni del proletariato urbano e degli agricoltori impoveriti. Se c’è una cosa che è certa è che entrambi sapevano benissimo che per ottenere qualcosa bisognava sapere accattivarsi le folle, trasformare la propria persona in un’icona che, per i suoi atteggiamenti e le sue gesta, verrà ricordata e verrà discussa anche a distanza di parecchi secoli.


Merlo Andrea 2°A LSI

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