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Il Capo dei Capi di Cosa Nostra e il suo tesoro miliardario

Salvatore Riina, dettoTotò Riina o il Capo dei Capi, fu uno dei maggiori boss di Cosa Nostra. Egli nacque a Corleone e già alla giovane età di 19 anni fu accusato di omicidio e tracorse sei anni in carcere. Dopo il suo ritorno a Corleone entrò a far parte della cosca del mafioso locale Luciano Liggio, la quale aveva come obiettivo una guerra di mafia contro la famiglia Navarra. Riina fu inoltre esecutore della “strage di viale Lazio”, massacro ideato appositamente per uccidere ed eliminare dalla scena locale il boss palermitano Michele Cavataio. Grazie alla sua ingegnosa astuzia la mafia corleonese riuscì a penetrare nella politica del palermitese: nel 1989 infatti venne ucciso Michele Reina, con la complicità di Bernardo Provenzano e di Calogero Bagarella, altre due figure di spicco nella storia della criminalità organizzata italiana. Alla morte di Liggio, Riina diventò reggente della cosca di Corleone e ciò lo portò a optare per una immediata eliminazione di tutti coloro che potevano essere di ostacolo per i suoi piani, non da ultimo Piersanti Mattarella, all’epoca Presidente della regione Sicilia e fratello dell’attuale Presidente della Repubblica. Risale al 1986 l’inizio del Maxiprocesso di Palermo, nel corso del quale vennero imputati circa 500 affiliati di Cosa Nostra indicati per la maggior parte dai pentiti di mafia Tommaso Buscetta e Baldassarre di Maggio. Riina fu dunque condannato all'ergastolo in contumacia. Questa notizia fu per lui inaccettabile e decise così di dare inizio alla cosiddetta fase stragista, un periodo di forte incertezza sociale, caratterizzato da paura e timori diffusi in tutta la penisola. Il Capo dei Capi fece infatti uccidere molti politici: ad esempio Salvo Lima, parlamentare e politico ‘’in odore’’ di mafia, e vennero inoltre ideate e organizzate nel minimo dettaglio le stragi di Capaci, del 23 maggio 1992, in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, oltre agli agenti della scorta, e la strage di Via D’Amelio del 19 luglio 1992, la cui vittima più illustre fu il giudice Paolo Borsellino. Il 15 agosto del 1993 Riina venne, infine, catturato a Palermo davanti alla sua villa, luogo della sua lunga latitanza insieme alla moglie Antonietta Bagarella e ai suoi quattro figli e condannato a 26 ergastoli. Dal 1995 al 2001 fu inoltre recluso all’Asinara e ad Ascoli Piceno in regime di isolamento come da articolo 41 bis. Morì nell’ospedale di Parma il 17 novembre del 2017. Sebbene la popolazione di Corleone aspirasse ad un funerale pubblico in chiesa, la Conferenza episcopale lo vietò giustificando la decisione con la scomunica comminata da Papa Francesco ai mafiosi.


Dall’anno della sua morte i giudici e gli avvocati della Corte di Cassazione si stanno occupando della questione inerente alla sua eredità e al patrimonio che ha lasciato agli eredi. In tutti i processi, però, Riina ha sempre negato la sua importante e ingente eredità. In realtà il 19 luglio 2017 i Carabinieri del Ros e quelli del Comando Provinciale di Palermo e Trapani trovarono e sequestrarono alcuni beni per un valore complessivo di 1,5 milioni di euro a cui andavano aggiunti i cospicui capitali e le innumerevoli proprietà immobiliari. Tutti i beni risultarono intestati a terzi tra i quali anche i suoi familiari che ne sono diventati di conseguenza eredi legittimi. La questione riguardante l’eredità è dunque ben presto diventata oggetto di sentenze giudiziarie e oggigiorno continua a essere questione di ferventi dibattiti a causa di ricorsi da parte di coloro che ritengono di essere i legittimi beneficiari del suo patrimonio. Ad esempio con la sentenza 6 luglio-20 settembre 2021 n. 34839 la Corte di Cassazione ha sostenuto e dichiarato inammissibile il ricorso di dissequestro presentato dal genero del boss, Antonio Ciavarello, marito della figlia Maria Concetta. I giudici nel pronunciare la sentenza posero particolare attenzione al fatto che Riina, fino al giorno della morte, fosse rimasto un pericolo sociale, dal momento che neppure nella detenzione in regime di 41 bis smise di rivestire il ruolo apicale in Cosa Nostra. L’ultima sentenza penale 34839/2021 emessa dalla Cassazione stabilisce quindi che i beni debbano rimanere confiscati per la pericolosità che Riina ha presentato.

De Carlo Roberta 5 D LCE

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