La scrittura segreta delle ragazze cinesi
In un tempo difficile da definire, probabilmente prima del ventesimo secolo, tra le colline e i monti dello Hunan, nella contea di Jiangyong, nasce una scrittura segreta: il Nüshu. Quando parliamo di questa “scrittura segreta” non dobbiamo pensare al cifrario di Atbash o al codice “Navajo”, perchè il Nüshu, a differenza di questi ultimi, nasce dalla profonda necessità delle donne di esprimere i propri pensieri in estrema libertà, la quale era stata negata loro dalla società in cui vivevano, una società patriarcale, caratterizzata dall’enorme disparità di genere; per questo motivo la definizione più corretta del Nüshu sarebbe quella di “fenomeno” perché non si limita solamente alla scrittura ma delinea anche molti aspetti culturali e sociali di questo periodo storico. Era costituito da caratteri romboidali, dalla forma longilinea ed elegante, decisamente differente dal cinese di oggi. Gli uomini non gli prestavano minimamente attenzione ma, diversamente da quanto potremmo pensare noi, essi erano a conoscenza di questa scrittura misteriosa, semplicemente non ne conoscevano né l'uso né la grammatica. Per contestualizzare e coglierne il suo significato più profondo, dobbiamo analizzare i suoi aspetti principali.
CONTESTO CULTURALE E TRADIZIONALE
Il Nüshu nasce per dare sfogo alle sofferenze e per darsi forza a vicenda, infatti non è un caso che sia nato proprio nel momento in cui le ragazze diventavano “prigioniere” della società maschilista in cui vivevano, un periodo caratterizzato da due riti comuni: la fasciatura dei piedi e il lǎo tóng老 同. Il lǎo tóng era un rito molto importante perché avrebbe unito con un legame indissolubile due ragazze accomunate da un’affinità spirituale ed emotiva. Ad occuparsi di trovare la lǎo tóng perfetta erano i genitori che dovevano accertarsi che fosse coetanea alla propria figlia, che avesse la stessa condizione sociale, che l’opinione degli indovini fosse positiva, che la misura dei piedi e dell’altezza fosse identica e, infine, che non fosse né più bella né più brutta di lei. La tradizione inoltre prevedeva che una delle due bambine scrivesse una “proposta di unione” in Nüshu all’interno di un ventaglio e, se l’altra accettava, doveva fare altrettanto. Il legame, poi, si ufficializzava con una cerimonia nella quale si scambiavano questa frase di rito: “Cammineremo insieme per tanto tempo, sì, per un tempo infinito”. La figura della lǎo tóng era molto importante perché significava permettere alla propria figlia di iniziare a comprendere l’entità dei legami, insegnarle a porre fiducia in qualcuno e avere cura per sempre degli altri, perdonando, comprendendo e tollerando. Il Nüshu, pertanto, accompagnava le due lǎo tóng nel loro cammino, dal momento che erano obbligate a mandarsi delle lettere, ma accompagnava anche tutte le donne in un altro momento importante della loro vita: il matrimonio. Il matrimonio, odiernamente visto come l’emblema dell’amore, in quest’epoca, nella maggior parte dei casi, poteva apparire alle ragazze come un momento di grande sofferenza; una sofferenza sia fisica, a causa del rito della fasciatura dei piedi ma anche morale perché costituiva un obbligo imprescindibile dal momento in cui non avevano voce in capitolo né nella scelta del marito né nella scelta stessa di sposarsi. Per fortuna, durante questo periodo, la disperazione veniva alleviata dal conforto che il Nüshu riusciva a dare alle ragazze.
Poco prima del “grande giorno” venivano celebrati numerosi riti come: la recita dei cosiddetti “canti della sofferenza” (kǔ gē 苦歌), composti da quattro fasi e il guòyè 过夜, la notte della vigilia, dove la sposa doveva recitare i canti della sofferenza mentre le amiche trascorrevano giorno e notte con lei scrivendo pezzi in Nüshu. Uno degli emblemi di questa scrittura è, infatti, il sāncháo shū 三朝书 (il “Libro del terzo giorno), un libro interamente realizzato e scritto a mano dalle sue amiche che veniva donato tre giorni dopo il matrimonio; le chànggē nǚ 唱歌女 (amiche della sposa) scrivevano solo nelle prime pagine perché lasciavano lo spazio alla neo moglie di compilare il resto elencando gli avvenimenti che le sarebbero accaduti in futuro. Il Nushu, inoltre, accompagnava le donne anche nell’aldilà perché, quando morivano, i manufatti, il Libro del terzo giorno, i ventagli e le cinture venivano seppelliti con loro.
IL NÜSHU: I VERSI E I FONOGRAMMI
I canti del Nüshu, composti per la maggior parte da versi di cinque o sette sillabe e dai venti ai cinquecento caratteri, erano utilizzati come “valvola di sfogo”, pertanto i temi più ricorrenti erano incentrati su ogni aspetto della vita privata delle donne, per esempio la vita nei campi, le sfortune e le ingiustizie della vita o le bellezze della natura. Solitamente i testi venivano trascritti nella stoffa - abiti, cinture, fazzoletti...-, carta, ventagli o semplici libri ma la parte fondamentale, quella che ha permesso il tramandare di generazione in generazione la lingua, era il canto, la voce. La magia del Nüshu sta proprio nel canto, e tutte avevano il proprio modo di cantare, poiché esistono due modi per intonare questi brani: il primo consiste nello scandire ad alta voce ogni carattere, il secondo, invece, prevede l’intonazione di un vero e proprio canto dove chiunque possedeva la propria melodia. Senza dubbio, però, la scrittura rimane la parte più affascinante del Nüshu. Inizialmente si credeva fosse costituito da 10.000 fonogrammi ma degli studi recenti hanno ridotto il numero a 396 elementi.
Il Nüshu presenta una mancanza di una solida struttura morfologica, fonetica e grammaticale, il che rende difficile la traduzione e la "normalizzazione" della lingua; ciò che gli studiosi sono riusciti ad identificare, però, è che i canti non hanno dei titoli e non presentano alcun uso della punteggiatura. Le differenze sostanziali tra il cinese tradizionale e il Nüshu: per quanto riguarda i caratteri, le linee molto più sottili, quasi filiformi, la presenza di molti puntini all’interno dei fonogrammi, tantoché saper scrivere questi caratteri è simbolo di alta calligrafia, mentre dal punto di vista grammaticale, il fatto che sia una lingua fonetica e non logografica, come il cinese. Purtroppo, oggi, tutte le donne che conosce vano il Nüshu sono mor te e la sopravvivenza di questa scrittura è tra le mani dei pochi studiosi che sono riusciti ad apprendere le regole fondamentali attraverso gli studi ma soprattutto attraverso i racconti delle anziane abitanti di Jangyong. Il Nüshu , ribadisco, è molto di più di una semplice scrittura perché in esso, in realtà, è racchiusa l’essenza delle donne: forza, speranza, tenacia, solidarietà... È così emozionante cercare di comprendere i sentimenti che le ra gazze provavano in quei momenti e come sono riuscite a “sopravvivere” facendosi forza a vicenda attraverso questo senso di sorellanza che nel corso degli anni è andato perduto. Nonostante queste continue scoperte innovative che riguardano il mondo femminile, il ruolo della donna, in passato ma anche oggigiorno, è quasi sempre stato visto come il sesso più debole quando invece ha costantemente dimostrato il suo vigore e la sua energia in molteplici situazioni. D’altro canto è triste pensare che in Cina, come in altri paesi del mondo, in alcuni casi, la figura della donna non rispecchi ancora il concetto di emancipazione e che non sempre le donne sono riuscite/riescono a trovare il proprio “raggio di sole”, ciò che è stato il Nüshu per le nostre piccole ma grandi eroine del passato. Nel caso foste interessati a saperne di più e ad approfondire l’argomento consiglio la lettura del libro “ Il Nüshu: la scrittura che diede voce alle donne” di Giulia Falcini o la visione del film “Il Ventaglio segreto” di Wayne Wang (tratto da un libro dal medesimo titolo).
Girolami Eleonora 2°A LSI
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