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L' etica del tempo

Un tempo mi piaceva pensare, pensavo di giorno e di notte, quando ne avevo l’occasione, confabulavo, meditavo, sognavo ed è proprio dentro alle stanze della mia mente che trovavo rifugio. Un giorno, mentre oziavo beatamente tra i miei dubbi e le mie convinzioni, incontrai una figura, non molto familiare. Continuava a camminare come se la mia presenza all’interno di quella stanza immaginaria non lo avesse scosso o perlomeno incuriosito. Camminava, camminava, in tondo senza fermarsi e il suo passeggiare era diventato quasi ipnotico, come un’ingannevole ninna nanna. Anche se di quell’insolito soggetto ero stuzzicata dall’origine e il motivo del suo camminare, ero intimorita. Non c’era un apparente motivo per cui essere spaventati dalla figura ma la sua sicurezza, la sua fermezza mi spingevano a dubitare più del dovuto. Nonostante il timore, i piedi si muovevano istintivamente, e fu un attimo che mi ritrovai a seguire le orme del “Camminante”. Lo inseguivo con affanno, non fisico, mentale. I nostri passi si erano sincronizzati e non mi sembrava il caso di fare domande scontate; mentre camminavo guardavo i miei piedi e alternavo la visione scrutando il Camminante. Era da parecchi minuti che poggiavo i miei passi sulle sue orme quando sentii finalmente parole familiari: - Lo trovi noioso? Trovi noioso quello che stiamo facendo? –

Nel mio movimento, rimasi pietrificata. Non mi aspettavo una domanda del genere, e non sapevo neanche se sarei stata all’altezza di quella domanda. Era una situazione insolita come lo era chi l’aveva creata ma era affascinate vedere il flusso di pensieri che rimbalzavano da una parte all’altra della camera. (- Calmati, non ti agitare. Silenzio.)

- Non credo, non conosco neanche ciò che stiamo facendo, a che scopo. Mi ritrovo qui, con te e non mi sembra così noioso doverti scrutare. - La mia risposta era stata una richiesta di spiegazione ma non mi sembrava che a lui servisse o piacesse sapere qualcosa di me. Queste due frasi mi stavano mettendo in confusione, più ci pensavo, più non capivo, più non capivo più mi incuriosivo.

– Non sai, è normale che tu non sappia, per quante volte mi hai pensato, pensavo di non doverti dare spiegazioni. Io faccio questo da sempre, e sono ovunque; se ti piace di più pensarla così, pensami come una guaina che ricopre non solo l’umanità, i pianeti, le stelle, le galassie, lo spazio. Se ti piace tanto osservarmi puoi continuarlo a fare, ma attenzione, perderai solo tempo! –

Non erano molti indizi, anzi valevano quasi zero ma avrei voluto che non avesse smesso di parlare, era un parlare magnetico: i miei pensieri il metallo e le sue parole il magnete da cui erano maggiormente attratti. – La mia intenzione non era di continuare ad osservarti e se continuerai a darmi così pochi indizi, dovrò passare alle vecchie e scontate domande, ma non ne ho proprio voglia. –

Nonostante non si fermasse vedevo che la sua espressione era cambiata, come rassegnata al dovere di dirmi ciò che mi nascondeva. Ed era vero, non avevo proprio voglia di risultare banale ai suoi occhi perché, benché non lo conoscessi, in me si era formato un sentimento di profondo rispetto per il Camminante, adesso non so neanche come sia stato possibile. – Non sei stupida e neanche troppo superficiale per non poter indovinare chi io sia, ma per accorciare l’attesa, ti darò piccoli indizi. Dato che non voglio essere neanch’io troppo scontato o impulsivo, ti dirò come voi umani mi identificate. Vi accanite contro di me e l’unica cosa che sapete fare è disprezzarmi. Solo quando pensate che vi abbandonerò cominciate a capire il mio vero valore. Mi pregate, mi sognate e vi illudete che io vi faccia soffrire: tempo abbi pietà, più tempo, meno tempo. Forse mi sono allargato. –

Mi fermai di colpo. Non potevo credere alle parole che avevo sentito, scossi la testa, sbattei gli occhi un paio di volte, mi diedi un paio di pizzicotti e niente, la situazione era sempre la stessa: una figura si era presentata in una delle tante stanze dei miei pensieri e mi aveva rivelato la sua ambigua identità. Quello era il tempo. Il tempo. Ci doveva essere un inganno, era, doveva essere un inganno, uno scherzo di cattivo gusto. Provai ad abbozzare qualcosa da dire ma il bianco totale era davanti a me. Non era normale che il tempo si fosse presentato davanti a me, come se nulla fosse, come se dovessi sentirmi la persona più importante del mondo.

– Prima che tu mi ferisca con la tua incredulità, ti dirò una cosa: per quanto tu sia giovane, forte e bella e intelligente, capirai il mio gesto solo quanto penserai che “il tempo” ti abbia segnato la pelle, dipingendola di sfarzose rughe. In questo momento ti sembra che potrai avermi a disposizione quando vorrai ma non è così.

Dopo queste affermazioni, sentii ribollirmi il sangue nelle vene. Come poteva dirmi parole così amare, come osava. Gli occhi mi diventarono stretti, come i denti nella bocca serrata dall’ira, le dita accostate violentemente, l’una vicina all’altra, trattenevano la mia voglia di sferrargli un colpo; il corpo rigido, statico, si scaldava mentre io non controllavo più il flusso di parole che uscivano dalla bocca.

– Come osi tu, dirmi questo. Tu sei il più vigliacco di tutti, non ti interessa di che pene infliggerai ad un mondo che è per te una marionetta. Tu fai soffrire. Tu falci vite e ne dai altre nella consapevolezza che poi le falcerai. E non badi al dolore che provochi. Tu rubi l’esistenza dei più giovani, quelli che avevano la convinzione che gli avresti riserbato tante cose, dei più anziani, che hanno solo il terrore della tua tremenda precisione. Se a te non interessa delle conseguenze che arrechi, che lanci sulle spalle della gente, allora a me non interesserà che effetto ti farà sentire le mie parole, piene di collera e rancore. –

L’aria si immobilizzò e insieme a lei anche il Camminante. In quel momento mi sembrava che tutto si fosse dilatato, i secondi equivalevano a minuti e nel momento stesso in cui si era fermato il tempo, una grande pressione mi spinse, facendomi rimbalzare per terra violentemente. La cosa strana di quegli attimi era che l’onda d’urto si muoveva a rallentatore, dilatata nel tempo e nello spazio come la mia caduta, ugualmente dolorosa. Nel momento del crollo riuscivo a guardare tutto senza inganni o filtri. L’aria si era espansa come quando si adagia una goccia di pittura liquida su un foglio e poi si soffia con molta forza così da ottenere un bellissimo quadro d’arte astratta. Il tonfo era stato tremendamente penoso e non c’era muscolo del corpo che non mi facesse male, indolenzito nella dilatazione del tutto e del nulla.

-Non pensavo di dovermi spingere così tanto per farti capire. Ingenua, questa è la riprova della tua stupidità, della tua ignoranza. Ignori la mia potenza e quanto tanto o poco io influisca su di voi. Non capite proprio niente voi umani, vi lamentate tanto di me ma non vi accorgete che la colpa è tutta vostra. Io non faccio niente alle vostre misere vite, io non falcio esistenze e non sono vendicatore, non ne avrei motivo. Le vostre vite sono a me indifferenti e il vostro dolore non mi riguarda. Non capite che non è il tempo a potare via anche le più tenere vite. La vita è per voi un grande mistero, per me no. Essa segue il suo percorso, nella vita c’è l’esistenza e poi c’è la morte e non è il tempo che dovete accusare. Io non ho influenza sulle vostre azioni, io sono e io esisto, ho il potere, e quello che vi mostro è uno scorrere regolare della vostra vita. Voi mi utilizzate a vostro piacimento ed è proprio nel momento in cui non riuscite a vedere la vostra colpa, per il fatto di avermi perso, che mi indicate come il marionettista, che tira i fili della vostra vita a proprio piacimento. Non c’è neanche un modo giusto o sbagliato per vivere questa vita, siete voi a imporre degli standard di cui non andrete mai fieri e chi chiamerete colpevole per l’ennesima volta? Me, ovviamente. Se volessi potrei iniziare a correre come un matto e farvi morire tutti in un attimo, ma non è il mio compito. La vecchiaia fa parte della vita- si mise a correre e tutto d’un tratto emersero grinzose rughe sul mio volto, abbassai lo sguardo e i miei capelli bianchi erano a terra, rigidi e crespi e le ossa, che prima erano pronte a qualsiasi grande sforzo, adesso pesavano più del corpo stesso. – guardati, i segni del tempo ti sono apparsi sul volto. Questo sarebbe il pegno se fossi veramente un carnefice. E potrei anche voler ritornare all’inizio dei tempi e correre a ritroso- questa volta fece retromarcia e i capelli bianchi si trasformarono in folti capelli castani, le guance arrossirono e le mie ossa diventarono deboli, quella debolezza tipica dei bambini. La cosa che mi lasciava un po’ perplesso era che nonostante il mio corpo cambiasse la mia mente, i miei pensieri rimanevano sempre uguali, non mutavano in ideologie da veterano della vita o nei sogni di un fanciullo nel fiore della sua infanzia. – Ormai te ne sarai accorto. Siete poppanti e ragionate come poppanti ma credo che tu adesso sia più matura di qualsiasi vecchio seduto sulla soglia della propria esistenza o di qualsiasi frutto pendente dal giaciglio dei rami. Adesso ristabilizzerò tutto com’era prima, come se non fosse successo nulla di troppo importante. Non ignorare la regolarità dei miei passi perché finirai a trent’anni a domandarti i modi più disparati in cui sei riuscito a perdermi.-


Vittoria Bortolussi 2C LCE

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