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La Carnia

Il monte Crostis invece si trova dalla parte opposta rispetto allo Zoncolan, è il punto più alto della “panoramica delle vette”, ovvero un giro di circa 35 km che collega gli abitanti di Tualis con quelli di Ravascletto. 

La panoramica è percorribile a cavallo, in bici, in moto, in macchina ma, per godersi a pieno l’esperienza, la cosa migliore è percorrerla a piedi! 

Il cammino parte da Tualis che è la tappa iniziale del percorso. Con la macchina si percorrono circa 10 km su una strada asfaltata, stretta e molto ripida fino ad arrivare in cima nel rifugio Chiadinas. A piedi si passa per la strada vecchia, “strada vecja di mont”, ovvero dei sentieri ripidi che i nostri nonni o bisnonni percorrevano per arrivare in cima. Dal rifugio Chiadinas si sale per un dislivello di 300 metri ad altitudine 2250 per circa 40 minuti, fino a raggiungere la croce di vetta della cima del monte Crostis. 


Da qui si può ammirare un panorama spettacolare e si vedono gran parte delle cime della Carnia come il Peralba, il Volaia, lo Zoncolan. 

Arrivati a questo punto si può continuare fino al Marinelli oppure proseguire in vetta per il sentiero della panoramica. Per i meno allenati è consigliato ritornare in basso e seguire la strada sterrata e pianeggiante della panoramica delle vette per circa 18 km fino a Ravascletto.

Più che una semplice camminata è una vera e propria esperienza in quanto conosci la montagna, ammiri paesaggi stupendi e soprattutto vedi tantissime marmotte! 


La carnia è stata zona di guerra in quanto si trovava al confine tra il regno d’italia e l’impero austro-ungarico.

Durante la prima guerra mondiale vi erano 31 battaglioni di cui 16 erano di alpini.

Anche le donne hanno partecipato alla guerra come “portatrici carniche”, ovvero coloro che salivano a piedi con 10, 20 o addirittura 30 chili sulle spalle per raggiungere gli alpini e rifornirli di cibo, acqua, medicinali e vestiti puliti.

Per ricordare queste donne morte sulle montagne, spesso in giro per i paesi carnici, ci sono dei piccoli musei con i quadri dei loro volti che fanno riflettere molto.

Personalmente provo molta stima nei loro confronti perché hanno rischiato la vita per la “patria” e per aiutare la famiglia, e ammiro molto il loro coraggio e soprattutto la loro forza.


Sul passo di Monte Croce Carnico, sul Pal piccolo e sul Pal grande c’è stata una tra le più lunghe e logoranti battaglie per gli alpini che sono morti in gran numero. 

Anche oggi attraversando quei sentieri, i segni della guerra sono molto visibili. A terra si trovano ancora munizioni, pezzi di bombe scoppiate, ossa umane e continuare a camminare immaginando tutto quel dolore è davvero difficile.

Per la popolazione carnica gli anni di guerra sono stati pieni di miserie, privazioni e soprusi da parte dagli austro-tedeschi che hanno invaso il territorio. Durante la seconda guerra mondiale gran parte degli alpini sono stati mandati a combattere in russia e la maggior parte non è tornata a casa dalle proprie famiglie.

Un periodo ancora più duro è stato quello durante l’occupazione dei cosacchi che rappresentò un martirio, ancor oggi ben vivo nei ricordi degli anziani: alcune famiglie furono cacciate dalle loro case per dare spazio ai nuovi arrivati, altre furono costrette a coabitare con persone con le quali era impossibile condividere usi e abitudini e con cui anche i più semplici tentativi di dialogo si rivelavano delle vere e proprie imprese a causa della difficoltà di comunicazione data dalla lingua non comune. Innumerevoli furono gli atti di violenza compiuti ai danni della popolazione e soprattutto alle donne e ai bambini che venivano sfruttati per lavorare e usati per la guerra. 

L’occupazione durò fino al 1945 quando questi, di fronte all’avanzata degli alleati, scapparono attraverso il Passo di Monte Croce Carnico, inconsapevoli del fatto che sarebbero stati presto deportati in siberia nei gulag e uccisi. 

Oggi la popolazione, soprattutto i più vecchi, sanno cosa hanno dovuto affrontare i loro antenati e portano un profondo rispetto e stima nei loro confronti perchè hanno saputo rialzarsi e ricostruire tutto ciò che era stato distrutto ancora meglio di prima. 

Resta ancora un ricordo amaro e crudo che a volte fa sembrare piuttosto scontrosi e poco accoglienti, i carnici infatti preferiscono rimanere isolati nel loro territorio perché solo in carnia si sentono a casa e al sicuro. 

Le persone sono molto fiere di definirsi carnici, “cjargnei”,  perchè hanno un forte senso di appartenenza al territorio e alle tradizioni che mantengono ancora vive tramite le sagre, i balli,le canzoni, il cibo e le leggende.



Per esempio ancora oggi il giorno di Sant’Andrea si uccide il maiale e non si butta nulla: il sangue, le interiora, tutto viene utilizzato ed è una grande festa in paese quando vengono uccisi i maiali, tra dicembre e gennaio.

Altre specialità tipiche sono il muset, simile a un cotechino ma più magro, il salame "di cjase" (definito tale perché veniva affumicato dai più anziani nelle cantine delle case quando il maiale veniva ucciso) leggermente affumicato e il prosciutto crudo anch'esso affumicato.

Durante le sagre si ascolta la tipica musica folk e si balla con il vestito carnico ovvero un abito in cotone e in pizzo con un grembiule sulla gonna che una volta era indossato dalle donne per tenere i vestiti puliti.

Una settimana qui è quello che consiglierei a tutti per capire quanto è diverso il Friuli, quanto sono buoni i piatti tipici e quanto è bella la Carnia. 


Stua Matilde 2A LSI

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