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La moda tra il Green Deal e il coronavirus

La moda tra il Green Deal e il coronavirus


Ursola von der Leyen, presidente della Commisione europea, ha dichiarato che nei primi due anni del suo mandato la sua priorità sarà una sola: promuovere il Green Deal, cioè una serie di misure, approvate il 15 gennaio 2020 dal Parlamento europeo, finanziate da un piano economico decennale da 1000 miliardi per rendere più sostenibile la produzione di energia, lo stile di vita dei cittadini europei e ridurre inoltre gli sprechi industriali. L’intenzioni infatti dell’Unione europea è quella di trasformare l’Europa in una società basata su di un’economia di mercato moderna, dove le emissioni di gas serra saranno azzerate, gli sprechi ridotti al minimo e la crescita sganciata dall’utilizzo di energie non rinnovabili e materie prime. È un progetto molto ambizioso, che interesserà milioni di persone e a cui lavoreranno per anni tutte le principali istituzioni europee, ma qual è davvero la finalità più importante?

Lo scopo principale è quello di fare la propria parte per limitare l’aumento dell’innalzamento della temperatura del globo, che secondo le stime del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) dell’ONU deve rimanere entro gli 1,5 °C rispetto all’epoca pre-industriale, per non causare danni irreparabili al pianeta e di conseguenza alla specie umana. Per raggiungere tale obiettivo, uno dei settori più importanti che l’Unione punta a rendere green è l’industria del tessile, quarto settore per largo uso di materie prime e acqua e il quinto per emissioni di gas a effetto serra in Europa. Materiali riciclati, trasparenza delle etichette e riuso saranno le parole d’ordine della moda europea per i prossimi anni.

L’UE infatti, all’interno del patto, dà grande spazio, soprattutto nel settore tessile, all’economia circolare, un mercato che promuove modelli di consumo che prevedono la rimessa in circolo e il riciclo di prodotti che oggi consideriamo finiti. Quindi numerose tipologie di scarti tessili che adesso finiscono in discarica, potranno essere recuperati, grazie anche a investimenti che l’industria dovrà fare per potenziare le possibilità di recupero. Gli Stati inoltre dovranno rispettare entro il 2025 regole rigide sulla raccolta differenziata dei rifiuti tessili e investire sui tessuti e le fibre ad alto contenuto di materiali riciclati. Infine la Commissione Europea annuncia di voler garantire trasparenza sulle etichette, con misure che assicureranno al consumatore informazioni affidabili e verificabili sulla sostenibilità dei prodotti. Si andrà così a colpire il greenwashing, pratica di marketing incentrata su informazioni false e poco accertabili relative alla composizione degli articoli.

Queste sono le misure che l’Unione europea si era promessa di rispettare e portare avanti nei prossimi anni, grazie alle ingenti quantità di denaro da poter investire. La situazione oggi però è totalmente cambiata, dopo che, con il primo caso di coronavirus registrato in Europa il 18 febbraio a Codogno e con la successiva diffusione dell’epidemia a macchia d’olio in tutto il globo, le priorità dell’Unione sono cambiate per far fronte alla disastrosa crisi sanitaria ed economica che ha colpito l’Europa e il mondo intero.


Cosa ne sarà dunque del Green Deal e del futuro di una moda sostenibile e riciclabile?

Ce lo spiega un’imprenditrice friulana esperta nel settore.


1. Buongiorno Alessandra, sappiamo che è un’imprenditrice del settore della moda, ci racconta nello specifico in che cosa consiste il vostro lavoro?

Buongiorno, la nostra azienda disegna, fa produrre e commercializza ( i nostri clienti sono negozi multimarca distribuiti in tutta Italia e in Europa) una collezione di accessori e abbigliamento da donna. Abbiamo anche un canale diretto con un negozio monomarca a Venezia , un negozio online e un Outlet.


2. Riguardo al Green Deal, la vostra azienda ha già iniziato ad adottare delle politiche sostenibili?

Abbiamo iniziato alla fine del 2018 a creare alcuni articoli attingendo a materiali di scarto da altre lavorazioni, nel 2019 è diventata una vera e propria piccola collezione che abbiamo chiamato “Second life” con riferimento alla “seconda vita” che abbiamo dato ai tessuti.


3. Riguardo invece all’argomento coronavirus, quali sono stati e saranno gli impatti sulla vostra azienda?

L’impatto del coronavirus è stato molto violento.

L’azienda si è fermata e non abbiamo potuto consegnare ai nostri clienti ( che sono i negozi ovviamente tutti chiusi) la Collezione Primavera Estate 2020, abbiamo interrotto la vendita programmata della Collezione Invernale 20-21 e abbiamo interrotto la progettazione della nuova collezione Primavera Estate 2020.


4. Se dovessimo tirare le fila quindi, qual è la sua visione generale?

Questa violenta scossa e stop produttivo ci ha obbligati a pensare. La voglia di progettare in nuovo modo i nostri prodotti si è fatta sempre più chiara.

Il piccolo gruppo di collezione “second life” diventerà il cuore del prodotto del futuro. È un’occasione per ripensare e riprogettare molte cose , dalla filiera di prodotto, utilizzando i principi di economia circolare, alla modalità di distribuzione. Molto più Made in Italy e ancora maggiore attenzione alla qualità, alla durata dei capi e al loro impatto sull’ambiente. I consumatori sono molto attenti a questi valori e personalmente ritengo che questa pausa di produzione abbia rafforzato la sensibilità e le coscienze dei singoli nei confronti del nostro ecosistema. I cieli puliti e l’assenza di smog ci ha fatto capire bene quanto le nostre attività condizionano la salute del nostro pianeta e di conseguenza la nostra.


Cecilia Montalbano e Giulia Testolin, II^A


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