Ogni qual volta che mi viene posta la domanda "rifaresti mai quest'esperienza?" rispondo con "sì, ma forse partirei per un un anno intero e non solo per un semestre”. Mi chiamo Eleonora, frequento la classe VD, e a giugno ho concluso la mia esperienza di studi all’estero. In quest'articolo mi limiterò a descrivervi come questa si é svolta, cosa ne ho tratto e, ovviamente, spero di aiutare chi sta considerando se questa è la strada giusta da intraprendere. Sono decollata da Milano il 29 dicembre 2020, pochi giorni prima dell'entrata in vigore della Brexit. La paura e l'incertezza di quel momento le ricordo ancora vividamente: la confusione, dovuta all'emozione, era tale che non avevo realizzato di star abbandonando l'Italia fino a che l'aereo non ha lasciato il suolo. Sono partita con un gruppo di quattro ragazzi, me compresa, e, una volta giunti nel paese dove avremmo passato i mesi successivi, abbiamo raggiunto tutti le nostre rispettive famiglie. Tutti o quasi. A causa delle norme poste dal governo, per il contenimento della pandemia riguardo agli stranieri giunti dall’estero, io non sono stata portata immediatamente dalla mia host family permanente, ma in un'altra famiglia, dove, rinchiusa in una stanza, ho aspettato in quarantena per dieci giorni. Devo ammettere che già durante quei momenti il mio entusiasmo è stato messo a dura prova e i miei buoni propositi si sono notevolmente affievoliti, ma, nonostante ciò, i giorni sono trascorsi rapidamente e così il mio periodo di reclusione. Una volta libera mi sono recata a Poole, una cittadina affacciata sulla costa sud, che sarebbe stata il mio punto di riferimento per i mesi a venire. Lì ho incontrato finalmente la mia famiglia, composta da Emma, la mia madre ospitante, e Leyla, una ragazza italiana che aveva deciso, come me, di fare un’esperienza all’estero. Come a farlo apposta il governo inglese ha annunciato il lockdown nazionale. I due mesi successivi, nonostante la completa chiusura del paese, si sono rivelati molto più leggeri di quanto mi aspettassi: vigeva l'obbligo di seguire le lezioni da casa, quindi ero impossibilitata a incontrare i miei compagni, ma sono comunque riuscita ad uscire, visitare la zona e pianificare varie attività che avrei assolutamente aggiunto alla lista delle cose da fare una volta finito il periodo di emergenza nazionale. Questi mesi mi hanno comunque permesso di legare con Leyla e con la mia mamma ospitante, che mi ha aiutato in svariate occasioni. La vera svolta è arrivata l'8 marzo, quando il premier britannico ha annunciato la riapertura delle scuole di ogni ordine e grado. Ho incominciato così a prendere il treno ogni mattina e, in un’ora, a raggiungere la mia scuola, la quale ha sede in una piccola cittadina dal nome New Milton. Qui ho conosciuto, oltre che numerosi ragazzi inglesi che studiavano nei miei stessi corsi, anche altri exchange students come me, coi quali ho legato molto di più. Nonostante mi fossi precedentemente informata riguardo il funzionamento e la struttura del sistema scolastico inglese, sono rimasta, in un primo momento, destabilizzata.
Esso è infatti caratterizzato da una forte libertà, dal momento che è possibile scegliere le materie da studiare fino a un massimo di quattro; io ho scelto psicologia, diritto e storia, trovando ciascuna di esse estremamente interessanti e utili alla mia formazione. Nella scuola inglese l’orario di inizio delle lezioni non è lo stesso per tutti gli studenti, poiché dipende dalle materie scelte, e, solitamente, non è posto prima delle 08.45. Avendo scelto tre materie di studio, la giornata si limitava ad un massimo di tre ore di lezione: ad esempio il lunedì il mio programma prevedeva solo un’ora di scuola (ottimo modo per iniziare la settimana). Il gruppo classe, inoltre, non è sempre lo stesso: gli studenti si devono infatti spostare da una classe all’altra a seconda della materia e, nei momenti vuoti tra le ore di lezione, c'è la possibilità o di uscire da scuola o di riunirsi nella cosiddetta "common room" per conversare o studiare. Ogni materia è insegnata da due professori che affrontano argomenti differenti con modalità diverse. I miei docenti si sono dimostrati da subito cordiali e disponibili e, nonostante fossi arrivata a metà anno, non ho avuto problemi a mettermi al passo con gli altri.
Rispetto alla scuola italiana, inoltre, le materie in Inghilterra sono affrontate tenendo in debita considerazione la parte “pratica”, non si limitano quindi al solo apprendimento della teoria. Ad esempio durante le lezioni di psicologia ho avuto l’opportunità di studiare casi reali di esperimenti avvenuti nel corso della storia; in diritto, ho appreso inizialmente il principio o la norma giuridica e, in seguito, questi sono stati applicati a casi concreti per giungere ad una soluzione. Infine, l’avere così poche materie garantisce un carico minore di compiti e, conseguentemente, anche più tempo libero.
Perché dunque ambire ad essere un exchange student?
Una volta che le restrizioni causate dal lockdown me lo hanno permesso, mi è stato permesso di viaggiare, conoscere nuovi luoghi, visitare città (come Oxford, Portsmouth, Southampton, Brighton, Bath e molte altre) e interessanti siti storici (ad esempio Stonehenge e la cattedrale di Salisbury), venire a contatto con una cultura completamente diversa dalla mia. Questa esperienza aiuta soprattutto a conoscere un paese in ogni suo angolo, cosa che una vacanza con amici e familiari non permette assolutamente. Si viene a contatto con gli usi e i costumi di un popolo che può essere assai distante da quello di appartenenza e, nel contempo, si trasporta il proprio bagaglio culturale.
Inoltre, i ragazzi che decidono di intraprendere questo percorso diventano più indipendenti e sviluppano la capacità di essere più autonomi e di “riuscire a cavarsela” in molte situazioni. Una fra le abilità di cui si deve disporre, peró, é quella di adattamento: la host family presso cui gli studenti vivono, oltre che scegliere chi predilige ospitare, ha, in molti casi, abitudini completamente diverse dalle proprie. È possibile che durante la permanenza all’estero si possano riscontrare problemi con alcuni membri della famiglia e, nonostante le associazioni con cui i ragazzi partono offrano la possibilità di cambiare, il primo consiglio è sempre quello di dialogare per risolvere qualunque tipo di problematica possa emergere. In merito a questo, la compagnia a cui ho deciso di affidarmi voleva che un’idea in
particolare fosse a tutti chiara prima della partenza: “it’s not right, it’s not wrong, it’s just different”, quindi “non è giusto, non è sbagliato, è soltanto diverso”.
L'esperienza dell'anno all'estero é unica e irripetibile, oltre che essere estremamente soggettiva. È impossibile dare delle indicazioni su come questa potrebbe essere e non importa quanto la si possa fronteggiare preparati, quanto ci si possa informare su di essa e come la si possa immaginare: non sarà mai uguale a quella di altri, ma personale e diversa da studente a studente.
Ai ragazzi che sono interessati a questo percorso consiglio, in primis, di riflettere a lungo e seriamente sulla propria decisione: bisogna esserne fortemente motivati e convinti per poterla vivere al meglio; suggerisco di essere liberi da influenze, consigli e costrizioni altrui, perché, alla fin fine, quelli che dovranno partire e vivere all’estero sarete voi. Non posso nascondere che non sarà tutto lineare, è un percorso complicato: durante la vostra permanenza in uno stato estero avrete “alti e bassi” (e talvolta i “bassi” sembreranno insormontabili) e vi mancheranno la famiglia e amici. Ma se c'è una cosa che l'exchange year insegna, e mi ha insegnato, è non dare nulla e nessuno per scontati.
É dunque un'esperienza che arricchisce, oltre che aprire la mente e gli orizzonti sul proprio futuro.
Rositani Eleonora 5D LCE
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